Negli ultimi anni, le strade della Spezia e dell’arte contemporanea si sono incrociate più volte. Spesso è stata occasione per malintesi: una breve storia dagli Shangai a Tomaino, prima di Buren
Dagli Shangai ai portali di Buren, la storia recente della Spezia è assai popolata di opere d’arte che la gente ha da subito faticato a comprendere. Pubblico poco avezzo all’arte moderna, quello spezzino? Certamente. Va detto però che la ritrosia mostrata dalle persone di fronte alle opere – talvolta con benevolo affetto – ha in qualche caso più di qualche valido motivo di esistere.
Ripercorriamo brevemente alcuni episodi di questa storia dell’arte incompresa spezzina.
In principio furono gli Shangai…
Il primo choc arrivò con Cacto nel 1997, scultura firmata dall’artista tedesco Christopher Klein. 40 pali appuntiti apparentemente disordinati piantati nel giardino della nuova (allora) sede del Tribunale.
Nell’immediato il senso dell’opera è effettivamente poco comprensibile, così da subito per gli spezzini sono diventati “gli shangai” e si è iniziato a favoleggiare sul principesco conto pagato all’artista (di cui non abbiamo certezza, ma effettivamente ci risulta alto).
Ne abbiamo già scritto qui, spiegandone il significato. Nessuna spiegazione potrà mai però cancellare dallo sguardo degli spezzini lo sconforto con cui guardano quegli oggetti misteriosi.
Le cravatte luminose ai pini di piazza Verdi
Prima ancora che anche gli spezzini più appassionati d’arte conoscessero anche solo il nome di Daniel Buren (si fa per dire, dai!), i pini di piazza Verdi vissero già una stagione da protagonisti delle polemiche.
Era il 2001, infatti, quando Cosimo Cimino – artista siciliano, con ormai profonde radici alla Spezia – fece loro indossare una serie di cravatte luminose nell’ambito della rassegna di Luce in Luce, con la sua opera “Classica, con luce”.
Ancora oggi alla Spezia si usa quell’opera d’arte come pietra di paragone della stramberia, anche se purtroppo sembra impossibile rintracciarne una sola foto.
I soliti bene informati assicurano che alcuni alberi soffrirono particolarmente il cappio delle cravatte luminose. Certo, alberi e spezzini erano ancora all’oscuro di quello che avrebbero visto succedere più di un decennio dopo.
La fontana di piazza Culo
Sul rifacimento di piazza Garibaldi pochi possono avere da obiettare, anche se sicuramente si troverà qualcuno disponibile per polemizzare sulla sua pedonalizzazione.
Quasi tutti, però, saranno concordi nel dire che grazie alla fontana che è stata posta nel mezzo della piazza nel 2002, piazza Garibaldi ha cambiato nome in piazza Culo (al massimo piazza del Culo).
La fontana, che in realtà si chiama Fontana del Dialogo e rappresenta due paia di vele che si incontrano,è stata scolpita in marmo di Carrara nel 2002 dallo scultore Villano Tarabella di Pietrasanta su progetto degli architetti Antonio Leone e Cesarina Zanetti.
Nonostante la spiegazione, l’occhio dello spezzino non si lascia ingannare: saranno pure vele, ma quelle scolpiti sembrano proprio due granitici sederi (e, se vogliamo essere sinceri, c’è chi guardando la fontana di lato ci vede una “sosena” – o vagina, in italiano).
Gli uccelli di Tomaino
A cavallo tra il 2009 e il 2010, uno degli artisti locali più famosi anche oltre provincia – Giuliano Tomaino – espose undici sue opere in giro per la città (a complemento della sua mostra L’albero della carrube al Camec).
Sculture nel classico colore rosso sgargiante, dai tratti infantili e dall’effetto spiazzante.
Sul tetto del comune spiccavano tre uccelli, che subito divennero gli “Usei di Tomaino” mentre davanti al museo Lia, in piazza Ramiro Ginocchio, venne posizionata l’allegra piramide di Oplà (poi donata alla città e sistemata nel piazzale della stazione).
Due i commenti più diffusi sulle opere (che eppure a me piacciono molto): “Se lo facevo fare a mio figlio alle elementari, lo faceva uguale”; “Con 5 mila lire, il mio falegname lo faceva meglio, belin!”.
Il trasporto di parte degli spezzini per l’arte, appunto. Belin.
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